domenica 31 luglio 2011

La ricerca pubblica deve beneficiare la società, non il grande business.

Una Ricerca Pubblica a Servizio della Società e non del business.



Più di 100 organizzazioni di Ricerca e della società civile hanno mandato una lettera aperta alla Commissione Europea in merito alle Strategie e ai Fondi per la ricerca e l'innovazone per il periodo 2014-2020. Questa lettera è ora aperta ad adesioni individuali.


Open Letter to the European Commission concerning the Common Strategic Framework for EU Research and Innovation Funding (2014-2020)

Lettera aperta
  • J.M.D. Barroso, Presidente della Commissione Europea
  • Commissari e servizi della Commissione Europea
  • Membri del parlamento Europeo
  • Rappresentanti degli Stati Membri
  • La ricerca pubblica deve beneficiare la società, non il grande business.

    Una lettera aperta sulle strategie per la gestione dei fondi comunitari per la ricerca e l’innovazione.

    La ricerca che oggi è riconosciuta come priorità ed è dunque finanziata avrà un impatto decisivo sul futuro della nostra società e del nostro pianeta. E’ necessario dunque che il programma quadro di ricerca europeo sia guidato dalle necessità della società e dell’ambiente anziché da quelle del grande business.

    La nostra società si trova ad affrontare grandi sfide dal punto di vista ecologico, sociale ed economico. Non è certamente il momento per il “business as usual”, poiché è necessario un cambiamento radicale della società per gestire queste sfide. La ricerca e la tecnologia ricoprono un ruolo cruciale, ma devono – specialmente se sono finanziate da fondi pubblici – dare benefici a tutti i settori della società.

    In questi tempi in rapida evoluzione, ricerca e innovazione svolgono un duplice ruolo: da una parte consentono l’ampliamento della conoscenza e lo svolgimento di un processo decisionale informato, dall’altra possono anche contribuire a far emergere nuovi problemi. La ricerca su energia nucleare, farmaceutica, transgenico, biologia sintetica, nanotecnologie, spazio e militare – ad esempio – ha visto all’opera il grande business beneficiato da generosi sussidi pubblici, nonostante una diffusa preoccupazione sui possibili impatti ambientali e sociali. Questo ha marginalizzato e limitato i finanziamenti disponibili per la ricerca in settori importanti come la tutela ambientale, la politica sanitaria di prevenzione, l’agricoltura biologica e a basso input, il risparmio energetico e le energie rinnovabili, i problemi di approvvigionamento idrico, nonché le scienze sociali che contribuiscono all’analisi dei cambiamenti sociali ed alla risoluzione di problemi che non sono direttamente focalizzati su soluzioni tecnologiche.

    L’agenda della ricerca che da priorità alle quote di profitto e di mercato è incapace di venire incontro alle sfide sociali ed economiche che l’Europa sta affrontando in particolare perché queste sfide richiedono modelli di sviluppo economico alternativi a quelli di massima crescita, massimo profitto che hanno portato a questo eccesso devastante. La ricerca Europea dovrebbe promuovere e focalizzarsi sulle innovazioni che portano soluzioni anziché fare ricerca sulle tecnologie che rappresentano la fine del circuito e che non affrontano le cause alla radice dei problemi che la società si trova ad affrontare.

    Siamo preoccupati, pertanto, che la strategia Europa 2020 e l’iniziativa su Ricerca e Innovazione dell’Unione si focalizzino quasi esclusivamente sulla competitività. Questo prevede una società guidata da scelte tecnologiche anziché basata su soluzioni politico sociali e minaccia di imporre un inaccettabile influenza del grande business nel prossimo programma quadro di ricerca dell’UE (2014-2020).

    Molte delle associazioni firmatarie, che vogliono lavorare in un ampio raggio di tematiche legate alla giustizia sociale, ambientale ed economica hanno espresso i loro dubbi sull’influenza del grande business nell’attuale settimo programma quadro di ricerca “PQ7” dell’UE. Noi abbiamo sottolineato problemi quali la dominazione dell’industria nelle piattaforme tecnologiche europee (EPTs) e negli organismi “informali” di definizione dell’agenda quali il Forum Europeo su Sicurezza, Ricerca e Innovazione. Questi canali creano un conflitto di interesse strutturale, permettendo alle lobby industriali di definire l’agenda della ricerca dell’UE e di assicurarsi l’offerta di fondi pubblici. La sistematica implementazione di partenariati pubblico- privati nella ricerca prevista dalla commissione Europea può esacerbare i problemi esistenti e minare l’innovazione prodotta dalla società.

    L’Unione europea ha già finanziato in misura limitata ricerche volte a esplorare e promuovere alternative (in particolare nel suo programma Scienza e società), ma siamo preoccupati che queste opportunità finora marginali siano ulteriormente limitate nei programmi a venire.

    Le questioni etiche rispetto a molte delle tecnologie controverse che l’UE sta già finanziando sono state inoltre messe al margine. La guida etica dell’UE ed i meccanismi di conformità devono essere urgentemente revisionati per assicurare che i dibattiti più importanto sull’impatto delle nuove tecnologie possano essere indirizzati e considerati come parte dell’intera agenda di ricerca. Il ruolo delle scienze sociali, in particolare, non dovrebbe essere limitato alla “accettazione” delle tecnologie.

    La ricerca che renderà l’Europa (e il mondo) un luogo ecologicamente sostenibile, salubre e pacifico dove vivere deve recuperare un carattere prioritario rispetto alla ricerca che fornisce tecnologie vendibili sul mercato. Noi, le organizzazioni della società civile e del mondo scientifico che firmano, pensiamo che un’altra politica della ricerca e dell’innovazione non è solo possibile, ma assolutamente necessaria per rispondere alle sfide che le nostre società si trovano ad affrontare.

    Invitiamo quindi le istituzioni europee ad adottare misure per:

    • Superare il mito che solo tecnologie altamente complesse e costose possono portare al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità, occupazione e benessere e focalizzarsi invece su soluzioni concrete per affrontare le sfide ambientali, economiche e sociali.
    • Assicurare che il concetto di innovazione includa forme sociali e localmente adattate di innovazione allo stesso modo dello sviluppo tecnologico e facilitare la cooperazione e lo scambio di conoscenze tra le organizzazioni della società civile e del mondo accademico al fine di realizzare le potenzialità innovative del settore non-profit.
    • Stabilire un processo decisionale democratico, partecipativo e trasparente per l’allocazione dei finanziamenti alla ricerca, libero dai conflitti di interessi e dalla dominazione dell’industria consentendo alla società civile la piena partecipazione ai programmi di ricerca dell’UE, sin dalla definizione dell’agenda.
    • Garantire che tutti gli esperti e consulenti per la ricerca nell’UE siano nominati in modo trasparente per fornire competenze imparziali e indipendenti, liberi da conflitti di interessi; sostituire i gruppi di esperti e le piattaforme tecnologiche dominati dall’industria con gruppi che forniscano una visione bilanciata dei punti di vista e dei portatori di interesse.
    • Assicurare che i benefici della ricerca finanziata con fondi pubblici siano fruibili dalla società in modo sistematico, favorendo le politiche di accesso open source nel prossimo Inquadramento strategico comunitario.

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    venerdì 29 luglio 2011

    Riforma della Facoltà di Medicina

    Il ministro dell'istruzione Mariastella Gelmini e il ministro della Salute Ferruccio Fazio hanno presentato la riforma della facoltà di Medicina. Tante le novità per accorciare i tempi e fare entrare prima i medici nel mondo del lavoro.

    Percorso di studi più corto per gli aspiranti medici: la specializzazione durerà un anno in meno, ci sarà la possibilità di svolgere il dottorato contemporaneamente alla specializzazione e il tirocinio di tre mesi che oggi si svolge dopo la laurea sarà incorporato nella stessa. Sono le principali novità della riforma del percorso di studi di medicina illustrate in data 28 luglio dai ministri dell'Istruzione, Mariastella Gelmini e della Salute, Ferruccio Fazio.

    Ecco i punti principali della riforma:

    1- Formazione degli specializzandi

    Un anno in meno per le specializzazioni

    - La scuola di specializzazione durerà un anno in meno. La durata dei corsi di specializzazione viene avvicinata a quella europea: le specialità chirurgiche passano da 6 a 5 anni, quelle mediche da 5 a 4 anni o 3 per alcune aree particolari;

    - continua la selezione delle sedi dove sono attivate le scuole di specializzazione, al fine di garantire che solo le sedi effettivamente più qualificate dal punto di vista scientifico possano ospitare le scuole. In 3 anni si è passati da 1.800 a 1.100 scuole;

    - saranno definiti, d’intesa con il CUN, ordinamenti delle scuole che prevedano una maggiore partecipazione degli specializzandi all’attività professionale, con un modello 2+2 o 2+3, con una prima metà di formazione più teorica, seguita da seconda metà dedicata all’attività diretta dello specializzando.


    2- Dottorato

    Possibilità di svolgere il dottorato contemporaneamente alla specializzazione

    Durante la specializzazione sarà consentito, nell’ultimo anno, di svolgere contemporaneamente il dottorato. In questo modo si consente allo specializzando di accorciare ulteriormente il percorso di studi ed entrare nel mondo del lavoro più rapidamente, come accade all’estero e nei migliori sistemi formativi, come quelli anglosassoni.

    3- Laurea

    Tirocinio valutativo nei 6 anni di laurea

    L’intenzione dell’Italia è di confermare la durata di 6 anni del percorso di laurea, mentre il tirocinio valutativo di 3 mesi, che oggi si svolge dopo la laurea, verrà incorporato nella stessa. L’esame di laurea, quindi, inglobando anche l’esame di Stato, permetterebbe di conseguire una laurea abilitante. Questa scelta dovrà avvenire previo confronto in sede europea, in modo da garantire l’uniformità delle scelte del nostro ordinamento con quelle dell’Europa.

    Si tratta di un provvedimento che comporta un consistente risparmio di tempo. Oggi infatti lo studente che si laurea a febbraio del sesto anno, quindi legalmente in corso, non può concorrere alle prove di ammissione per le scuole di specializzazione che si svolgono a marzo poiché deve ancora svolgere il periodo di tirocinio. Di fatto lo studente perde un intero anno prima di poter partecipare al concorso di specializzazione.

    Per l'accesso alle facoltà di medicina resterà il numero chiuso. "Siamo in pletora di medici. Attualmente - ha spiegato il ministro Fazio - ne abbiamo 4 ogni 1.000 abitanti a fronte di una media Ocse di 3,3. Con le nuove regole la nostra media scenderà a 3,5 rimanendo dunque ancora superiore a quella Ocse. Il numero di medici che escono dalle facoltà a numero chiuso copre le necessità del Paese e non riteniamo - ha concluso Fazio - di aver bisogno di nuovi medici".

    La riforma della facoltà di Medicina vi convince?

    martedì 26 luglio 2011

    Emergenza Corno d'Africa


    (DIRE - Notiziario Sanita') Roma, 25 lug. - "Questa e' una carestia infantile. La grandezza della sofferenza e le perdite sono enormi. Le immagini che abbiamo visto dal Corno d'Africa parlano da sole. Oltre mezzo milione di bambini sono a rischio di morte imminente a causa di malnutrizione acuta grave. Tra Somalia, Etiopia e Kenya, sono circa 2,3 milioni i bambini gia' affetti da malnutrizione acuta.

    Gia' prima dell'emergenza questi bambini erano tra i piu' svantaggiati del mondo. Vivono in bilico e diventano piu' vulnerabili giorno dopo giorno, privati di ogni bisogno umano e di ogni diritto fondamentale. Si tratta di un doppio disastro". È l'appello del direttore dell'Unicef Anthony Lake.

    "La situazione e' terribile in Somalia e nei campi profughi in Kenya e in Etiopia, ma si estende ben oltre: alle comunita' pastorali di tutta la regione minacciando le persone e il loro modo di vivere e sostentarsi. Questa carestia non e' solo questione di cibo- continua Lake- È una questione di scelta obbligata. La comunita' globale non si trova di fronte a una scelta circa la risposta da dare, perche', di fronte a un'emergenza cosi' evidente, non ci puo' essere altra scelta se non quella di agire subito. Per salvare vite umane, la risposta umanitaria globale deve essere immediata. Stimiamo che il fabbisogno totale dell'Unicef per gli interventi di emergenza e' di circa 300 milioni di dollari fino alla fine del 2011.

    Nonostante i contributi significativi ricevuti da parte di molti governi e donatori privati attraverso i nostri Comitati nazionali, l'Unicef deve ancora affrontare un deficit per i bambini e le famiglie di oltre 200 milioni di dollari".

    Leggi il Comunicato Stampa di Medici Senza Frontiere sulla drammatica situazione in cui versa la popolazione Somala

    Vedi i Video:
    "Dadaab, Kenya - Un popolo in fuga"

    "Emergenza Siccità nel corno d'Africa"
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    Le grandi testate giornalistiche italiane (ma non solo) non ne parlano e i loro siti sono occupati da notizie di cronaca, dal debito greco, italiano o USA (a seconda delle giornate e dei "giri" di borsa), dalle vacanze dei Vip. La nostra è una piccola, doverosa, testimonianza informativa. Nessuna retorica, solo amara realtà.

    domenica 24 luglio 2011

    L'Etica in Medicina: intervista di Medico e Bambino a Sandro Spinsanti

    La bioetica è una disciplina che si occupa delle questioni morali collegate alla ricerca biologica o alla medicina (Wikipedia). Concordi con questa definizione o ritieni che vada meglio precisata?

    Per definire la bioetica si può fare di meglio. Naturalmente non si può escludere che ci sia anche chi fa di peggio... Quando sentiamo parlare, per esempio, della bioetica come parte integrante del programma di un partito, o di un sottosegretario del governo con delega per la bioetica, praticamente la si viene a identificare con le norme giuridiche che si ritiene debbano delimitare i comportamenti accettabili nell’ambito della biologia e della medicina, ovvero con il biodiritto. In pratica questo modo di concepire la bioetica la identifica con il contenzioso sociale riguardo a ciò che una società possa permettere o debba proibire. La definizione di Wikipedia non è così ristretta; il suo limite tuttavia è di non delineare i confini delle “questioni morali” rilevanti nella pratica biomedica. C’è una notevole differenza se abbiamo in mente solo i problemi che nascono sul confine estremo del progresso tecnologico o dell’intervento sulla vita (come la clonazione, i trapianti di organi, la procreazione medicalmente assistita, la sopravvivenza in coma vegetativo...) o le situazioni più semplici e routinarie. Per identificare questo ambito Giovanni Berlinguer ha proposto l’etichetta “bioetica del quotidiano”.

    Personalmente mi oriento a considerare la bioetica come un cambiamento di paradigma rispetto alla tradizionale “etica medica”, che modifica i comportamenti anche rispetto a tutto ciò che non si presenta come vistosamente eccezionale o di frontiera. Fare medicina applicando le regole comportamentali della bioetica è diverso dal farla seguendo quelle formulate dall’etica medica, quand’anche le patologie trattate fossero le stesse e i trattamenti non fossero il prodotto della tecnologia più avanzata.

    Quali sono i principali nodi bioetici in pediatria?

    La pediatria si presta bene a illustrare la differenza tra le due concezioni della bioetica che possiamo chiamare, appunto, bioetica di frontiera e bioetica del quotidiano....


    Leggi l'intervista per intero:
    L’ETICA IN MEDICINA: INTERVISTA A SANDRO SPINSANTI.
    Medico e Bambino 2011;30:387-88

    Sandro Spinsanti ha insegnato Etica medica alla facoltà di Medicina all’Università Cattolica del Sacro Cuore e Bioetica alla Università di Firenze. Ha diretto il Dipartimento di Scienze Umane dell’Ospedale Fatebenefratelli dell’Isola Tiberina (Roma). È stato presidente di numerosi Comitati etici e attualmente è presidente del Comitato etico provinciale di Modena. Ha fondato e dirige la rivista “Medical Humanities Janus” (ed. Zadig). Tra le sue pubblicazioni: “Chi decide in medicina” (ed. Zadig). Ha contribuito al volume del centenario della costituzione degli Ordini dei medici con il saggio “Etica medica e bioetica in cento anni di professione” (ed. FNOMCeO, 2010).

    mercoledì 13 luglio 2011

    Uso dei farmaci in Italia: presentato il rapporto OsMed 2010

    E' stato presentato agli inizi di luglio 2011 il rapporto OsMed sulla prescrizione dei farmaci in Italia nel 2010.
    Questa è la sintesi del rapporto.

    La spesa farmaceutica territoriale complessiva, pubblica e privata, è rimasta stabile rispetto all’anno precedente (-0,1%), mentre quella a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è cresciuta dello 0,4%. Per un totale di oltre 26 miliardi di euro, di cui il 75% rimborsato dal SSN. In media, per ogni cittadino italiano, la spesa per farmaci è stata di 434 euro. Come già osservato nel 2009, la Regione con la spesa pubblica per farmaci di classe A-SSN più elevata è la Calabria con 268 euro pro capite, mentre quella con il valore più basso è la Provincia Autonoma di Bolzano (circa 153 euro). Sono questi alcuni dei dati raccolti dal Rapporto Nazionale OsMed 2010, redatto dall’ISS in collaborazione con l’AIFA.

    I farmaci del sistema cardiovascolare, con oltre 5 miliardi di euro, sono in assoluto la categoria a maggior utilizzo, con una copertura di spesa da parte del SSN di oltre il 93%. E non si tratta di un primato solo per l’Italia, ma per molti altri paesi europei. Seguono: i farmaci gastrointestinali (12,9% della spesa), i farmaci del sistema nervoso centrale (12,7%) e gli antineoplastici (12,6%), questi ultimi erogati esclusivamente a carico del SSN, attraverso le strutture pubbliche (Asl, Aziende Ospedaliere, policlinici universitari etc.). I farmaci dermatologici (per l’88% della spesa), del sistema genito-urinario ed ormoni sessuali (57%) e dell’apparato muscolo-scheletrico (52%) sono invece le categorie maggiormente a carico dei cittadini. La spesa privata (farmaci di fascia A acquistati privatamente, farmaci di fascia C con ricetta, farmaci per automedicazione) è stata pari a 6.071 milioni di euro, con una variabilità regionale che va dai 64 euro pro capite del Molise ai 123 euro della Liguria.

    Le dosi

    Il consumo farmaceutico territoriale di classe A-SSN è in aumento del 2,7% rispetto all’anno precedente: ogni mille abitanti sono state prescritte 952 dosi di farmaco al giorno (erano 580 nel 2000). Attraverso le farmacie pubbliche e private sono stati acquistati nel 2010 complessivamente circa 1,8 miliardi di confezioni (30 per ogni cittadino). Dall’analisi condotta si osserva nel complesso una prevalenza d’uso del 76%, con una differenza tra uomini e donne (70% e 81% rispettivamente). Le maggiori differenze riguardano, in particolare, i farmaci del sistema nervoso centrale (in misura più elevata gli antidepressivi), i farmaci del sangue (soprattutto gli antianemici) e i farmaci del sistema muscolo-scheletrico (i bifosfonati).

    I bambini e gli anziani

    Alti livelli di esposizione si osservano nei bambini e negli anziani: 8 bambini su 10 ricevono in un anno almeno una prescrizione (in particolare di antibiotici e antiasmatici); negli anziani, in corrispondenza di una maggiore prevalenza di patologie croniche (quali per esempio l’ipertensione e il diabete), si raggiungono livelli di uso e di esposizione vicini al 100%. L’analisi della prescrizione farmaceutica nella popolazione conferma che l’età è il principale fattore predittivo dell’uso dei farmaci: infatti la spesa media di un assistibile di età superiore a 75 anni è di circa 13 volte maggiore a quella di una persona di età compresa fra 25 e 34 anni (la differenza diventa di 17 volte in termini di dosi). La popolazione con più di 65 anni assorbe il 60% della spesa e delle DDD, al contrario nella popolazione fino a 14 anni, a fronte di elevati livelli di prevalenza (tra il 60% e l’80%), si consuma meno del 3% delle dosi e della spesa.

    Le "sostanze" più prescritte

    Quasi tutte le categorie terapeutiche fanno registrare un aumento delle dosi prescritte rispetto al 2009. In particolare, incrementi nella prescrizione si osservano per i farmaci gastrointestinali (+6,7%), del sistema nervoso centrale (+3,4%) e del sistema cardiovascolare (+2,9%). Le statine continuano ad essere il sottogruppo a maggior spesa (17,7 euro pro capite) con un aumento dell’11,5% delle dosi e del 7,2% della spesa, seguite dagli inibitori di pompa con 16,3 euro (+6,2% rispetto al 2009). Importanti aumenti nel consumo si osservano per gli antagonisti dell’angiotensina II da soli o in associazione con i diuretici (+9% e +7,7% rispettivamente), gli omega 3 (+12,2%), i farmaci per il dolore neuropatico (+15%), gli oppioidi maggiori (+19,4%).

    La sostanza più prescritta è risultata essere, come nel 2009, il ramipril (51 DDD/1000 abitanti die). Altre sostanze rilevanti per consumo sono l’acido acetilsalicilico usato come antiaggregante piastrinico (43 DDD) e l’amlodipina (28 DDD). Alti livelli di esposizione nella popolazione si osservano per l’associazione amoxicillina+acido clavulanico, per l’acido acetilsalicilico e per il lansoprazolo con una prevalenza d’uso rispettivamente del 15,7%, 8,1% e 7%.

    Gli equivalenti

    La prescrizione di farmaci equivalenti, che all’inizio dell’anno 2002 rappresentava il 13% delle DDD/1000 abitanti die, costituisce nel 2010 oltre metà delle dosi, con una certa omogeneità tra le Regioni. I primi venti principi attivi equivalenti superano il 50% della spesa e delle DDD (sul totale dei farmaci a brevetto scaduto). Nell’ultimo anno hanno perso il brevetto il losartan, da solo e in associazione con diuretici, la lercanidipina e il nebivololo.

    I farmaci con nota AIFA continuano a rappresentare meno di un terzo della spesa e circa un quinto delle dosi, con una certa disomogeneità tra le Regioni. L’Umbria ha il consumo a livello territoriale più basso dei farmaci con nota AIFA, mentre la Sicilia è la Regione con il dato più elevato.

    La spesa relativa ai farmaci erogati attraverso le Strutture Pubbliche (ospedali, ASL, IRCCS, ecc.), pari a 7 miliardi di euro, rappresenta oltre un quarto della spesa complessiva per farmaci in Italia nel 2010. La variabilità regionale della quota di spesa per questi farmaci è compresa tra il 24% della Calabria e il 36% della Sardegna. La maggiore spesa riguarda i farmaci antineoplastici ed immunomodulatori (46,3 euro pro capite; +14% rispetto al 2009), gli antimicrobici per uso sistemico (22,3 euro) e gli ematologici(18 euro). Gli anticorpi monoclonali a uso onco-ematologico costituiscono la categoria terapeutica con la spesa più elevata (9,4 euro pro capite), seguiti dagli inibitori del TNF alfa (7,7 euro), dagli antivirali anti-HIV (7,3 euro) e dalle epoetine (6,5 euro).

    Fonte: Istituto Superiore di Sanità, Ufficio Stampa

    Scarica il Rapporto in formato integrale

    venerdì 8 luglio 2011

    I ricoveri pediatrici nel 2009

    Il recente rapporto del Ministero della Salute italiano sui ricoveri nel 2009 è ricco di dati e tabelle. Un primo dato che se ne può ricavare è il significativo calo tendenziale di quelli ordinari pediatrici.

    Se si analizza la sola classe di età 1-4 anni il tasso dei ricoveri ordinari dei maschi è ad esempio diminuito del 18% circa in sei anni, passando dal 114‰ nel 2003 al 94‰ nel 2009.

    La notizia è buona e potrebbe indicare sia un miglioramento dello stato di salute della popolazione che - soprattutto - un miglior filtro ai ricoveri inutili e migliori cure domiciliari e ambulatoriali.

    La variabilità dei ricoveri ordinari tra le Regioni italiane continua a essere molto ampia, di circa tre volte, con un minimo del 43‰ (per la Regione Friuli Venezia Giulia) e un massimo del 143‰ (la Regione Puglia) sempre per i maschi nella fascia di età 1-4 anni. In questi 6 anni, e sempre facendo riferimento a questa fascia di età, quasi tutte le Regioni hanno ridotto i tassi di ospedalizzazione, fatta eccezione per la Puglia e per il Piemonte che tuttavia ha una percentuale di ricoveri inferiore alla media nazionale.

    Un dato sorprendente è che le femmine di pari età (1-4 anni) a livello nazionale hanno un rischio di ricovero ordinario del 72‰ e dunque di circa un quarto inferiore a quello dei maschi, che è del 94‰. In tutto il mondo i maschi sono ricoverati di più, ma la spiegazione più importante in molti casi non è quella dello svantaggio biologico, che pure c’è, ma il fatto che ci si preoccupa di più per la loro salute (rispetto a quella delle femmine). Il differenziale tra diverse Regioni (e Paesi) potrebbe dare una misura di quanto questo fattore conti.

    Per ciò che riguarda i day hospital, il tasso di ospedalizzazione nazionale nel 2009 di maschi e femmine di età 1-4 anni è del 42‰, pari alla metà dei ricoveri ordinari, il cui tasso globale maschi e femmine è dell’83‰. Anche per i day hospital c’è un’ampia variabilità tra Regioni, con un minimo del 20‰ (la Regione Emilia Romagna) e un massimo del 96‰ (il Lazio) e un rilevante maggior rischio di ricorso al day hospital per i maschi rispetto alle femmine: 48‰ vs 36‰.


    Crediamo di poter affermare che le ampie variazioni tra Regioni nel ricorso al ricovero ordinario o in regime di day hospital non riflettano reali differenze di patologie o tanto meno di esiti di salute quanto piuttosto una varietà di consuetudini, culture e approcci organizzativi se non aziendalistici.

    Le stesse variazioni osservate per il ricorso ai tagli cesarei o per alcuni ambiti di prescrizione farmaceutica (gli antibiotici sono più prescritti anche in ambito pediatrico nelle Regioni del Sud rispetto a quelle del Nord). La riflessione (e la discussione…) è aperta.

    Franco Colonna, Federico Marchetti


    Nel suo editoriale pubblicato sul numero di giugno di Medico e Bambino Giorgio Longo scrive: "I dati riportati nelle tabelle ci fanno toccare con mano differenze regionali fuori da ogni possibile immaginazione. Ho cercato di dare una spiegazione razionale senza riuscirci. Ho pensato a possibili differenze nelle percentuali di immigrati nella popolazione, oppure a differenze socioeconomiche o ambientali ma, che io sappia, in Puglia e Sicilia non hanno certo più immigrati che in Emilia Romagna o nel Veneto e, ancora, in Umbria, Lazio o Lombardia non credo ci siano tanti più poveri rispetto alle Regioni che registrano la metà dei loro ricoveri.
    Forse qualcuno saprà trovare spiegazioni plausibili ma, certamente, viene difficile non vedere in questi numeri una possibile disattenzione delle autorità sanitarie (politiche) competenti (che pure questi numeri li producono e li controllano annualmente), ma anche un possibile opportunistico disinteresse di operatori, amministratori e dirigenti sanitari in generale..."

    Longo G. I RICOVERI PEDIATRICI IN ITALIA. È TEMPO DI CAMBIARE?.
    Medico e Bambino 2011;30:347-349

    Per approfondimenti: www.salute.gov.it
    Temi: ricoveri ospedalieri. Cliccare su: Rapporto annuale SDO 2009 e tabelle (vedi in particolare le tabelle di interesse pediatrico da 5.4 a 5.8.)

    Vedi anche il testo riportato nella rubrica News Box di Medico e Bambino, sul numero di Giugno