mercoledì 17 ottobre 2012

CIAO PROF PANIZON

  

È morto il professor Franco Panizon. 
Un vuoto improvviso per tutti. Un dolore profondo che ognuno di noi condivide ma anche vive a modo suo, perché a ognuno di noi, personalmente, il professor Panizon ha dato qualcosa di particolare, di unico. 
Ci sembra, adesso, di avere ancora una cosa che avremmo voluto dirgli, siamo certi che ci sarebbero ancora tante cose che avrebbe potuto ancora dirci e che ci avrebbe fatto bene ascoltare. 
Medico e Bambino senza di lui sarà per forza un’altra cosa. Cercheremo, tutti insieme, di fare in modo che rimanga la stessa cosa. Cercheremo di fare come se lui ci fosse ancora, di ascoltare la sua voce: non sarà facile ma non sarà neanche difficile. Perché ognuno di noi che gli è stato vicino, e che da lui ha voluto imparare, questa voce la sente comunque forte e con questa voce è abituato “da sempre” a fare i conti. 
Medico e Bambino


Il ricordo del prof Panizon:

Il Pediatra "umano". Ha lottato per aprire le porte degli ospedali ai genitori dei bambini e per la creazione dei Day Hospital pediatrico

Il "papà dei pediatri"
"Ricordo - dice Fulvio Camerini - quando era appena venuto a Trieste, come cambiò gli schemi. A Cardiologia avevamo un bambino cardiopatico, con un blocco ventricolare, e chiamammo Panizon per un consulto. Lui, direttore di una clinica, all’epoca in cui “il barone” stava ancora molto in alto e a distanza, restò a vegliare quel bimbo per tutta la notte. Questo dice tutto di Panizon"

Ansa
Sanita': morto il Prof. Panizon, porto' umanizzazione in pediatria al Burlo Garofolo di Trieste, introdusse il day hospital per i bimbi
Porte aperte senza limiti ai genitori dei bimbi ricoverati e introduzione del Day Hospital pediatrico, per consentire ai piu' piccoli di tornare a casa una volta terminate le cure giornaliere in ospedale.
Sono queste alcune delle novita' portate avanti negli anni '70 e '80 all'Ospedale pediatrico Burlo Garofalo di Trieste dal professor Franco Panizon, morto ieri a Trieste all'eta' di 87 anni.

La pediatria italiana perde un suo grande maestro- dichiara in una nota l'Associazione culturale pediatri, che raccoglie 2500 professionisti- scienziato, uomo di profonda cultura non solo medica, innovatore, Franco Panizon possedeva un grande carisma. Negli anni settanta e ottanta- ricorda l'associazione- opero' una rivoluzione nella Sanita' italiana introducendo il concetto di umanizzazione come pilastro delle cure in corsia.

Nato a Trieste nel 1925, Panizon e' stato professore emerito di Pediatria presso il Dipartimento di Scienze della Riproduzione e dello Sviluppo dell'Universita' della sua citta' e ha diretto la Clinica Pediatrica dell'Ircss Burlo Garofolo.

Autore di numerosi libri di medicina, e' stato tra i fondatori di alcune delle piu' importanti riviste di pediatria. Ha dedicato parte degli ultimi anni di attivita' alle cure ai bambini dell'ospedale 'Divina Providencia' di Luanda, in Angola. (ANSA 17 ottobre 2012, ore 15:09)


Il grande rivoluzionaio della pediatria italiana 


Un pediatra per amico

La Società Italiana di Pediatria

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"Ecco il punto: esiste qualcosa che ha la stessa forza dappertutto, ed è indipendente dalla diversità delle opinioni. E questo qualcosa DEVE esser presente nel profondo di tutti gli uomini: ciascuno ha bisogno degli altri, nessuno sta bene da solo; è doveroso restituire agli altri i beni, i vantaggi, la sicurezza che gli altri ti danno, dalla nascita in poi. Da questo deriva la nascita delle comunità, l’interscambio, e il senso profondo della giustizia"
Franco Panizon
Le basi neurofisiologiche dell'etica. Alla ricerca del gene altruista 
Medico e Bambino 2012;31:527-529

"Questo vale per tutti gli uomini, ma specialmente per i medici e specialmente per i pediatri: guardare in là, quanto più in là possibile; non pensare solo all’oggi del tuo paziente, pensa anche al suo domani; non pensare solo ai tuoi pazienti, ma pensa anche a tutti i pazienti; non pensare solo ai presenti, ma pensa anche ai lontani e ai futuri; ricorda che ognuno di noi, ma i medici più di altri, e i pediatri forse più degli altri medici, ha una minima, ma significativa responsabilità nello scrivere la cultura del nostro tempo e fa parte, quindi, della storia del mondo”. 
 Franco Panizon

"E quando pensate di aver fatto tutto per i vostri piccoli bambini, allora potrete andare  a dormire.  Mai accada di posare il capo sul cuscino, se prima non avrete fatto tutto quello che è in vostro potere per loro."
Franco Panizon


giovedì 23 agosto 2012

GIORGIO BARTOLOZZI


È morto Giorgio Bartolozzi. Uno che sembrava non dovesse morire mai; una persona malata che sembrava la persona più sana di questo mondo; la più attiva, la più attiva che io abbia mai conosciuto; la più attiva e la più partecipe con quel che diceva; e forse anche la più amata dai pediatri. Girava l’Italia senza tregua, nei suoi ultimi e penultimi anni, chiamato dappertutto, dai pediatri di base così come dalla pediatria ufficiale, come relatore, e vivace animatore a questo, quello, quell’altro Congresso. Era un Maestro. Un didatta nato. Il suo libro di testo, Pediatria, Principi e Pratica clinica, credo sia stato il più letto, da studenti, da specializzandi, da pediatri.
Lo conoscevo, possiamo dire, da sempre. Ma l’ho conosciuto più da vicino nel corso di un’impresa “benefica”. Era il tempo della “alfabetizzazione della Pediatria”; un tempo un po’ eroico, iniziato, anzi esploso, nel 1978, assieme alla istituzione del Servizio Sanitario Nazionale. Soffiava ancora il venticello del ’68, e la voglia di rinnovamento, che allora si identificava, per la Pediatria, con l’Associazione Culturale Pediatri. E nel 1978 l’Associazione, con Burgio for President e con molti di noi come consiglieri, “occupava” la Direzione della Società Italiana di Pediatria: Occupy SIP. E istituiva dei corsi “modello” per pediatri di base, tre, uno al Nord, uno al Sud, uno al Centro: quello al Nord ha avuto un solo, bravo figlio (Tabiano, sempre vivo), quello al Centro nessuno, quello al Sud una piccola marea. Sono venuti da noi, allora, i pediatri di Perugia a chiederci, a me e a Giorgio, di organizzarne uno là, al Centro, che era rimasto sterile. E siamo andati in pellegrinaggio, quasi a piedi, a braccetto guardandoci ogni tanto, a chiedere al cattedratico di Perugia di far parte, naturalmente, anche lui del Corso, e, sostanzialmente, di lasciarcelo fare. Ce l’ha lasciato fare; ma se ero da solo, non so. Da allora abbiamo avuto una lunga stagione di impegni comuni; ma lui ne aveva sempre uno di più. Però sullo stesso fronte. Chiamati a parlare di questo e di quello, in pediatria di base; e imparavamo, via via che insegnavamo. Poi lui si è lasciato prendere dalla passione per i vaccini. Con una certa fatica iniziale, ad accoglierli, come diceva all’inizio, dura lex, sed lex; ma poi se n’è innamorato, e poi sempre più; si è innamorato dei loro progressi, dei loro effetti. Sapeva tutto, davvero, e portava in giro la sua passione.
Ha lavorato a lungo, anni e anni, più di 400 titoli, per Medico e Bambino, con Medico e Bambino; e non solo sui vaccini. È venuto sistematicamente, eccetto che negli ultimissimi tempi, ad animare gli incontri organizzati dalla nostra Rivista. Non mi sembra vero che non ci sia più.
Arrivederci, Giorgio.

Franco Panizon

martedì 14 agosto 2012

Procreazione Medicalmente Assistita in Italia

26 luglio 2012 - I dati raccolti e analizzati dal Registro nazionale della procreazione medicalmente assistita (Pma) mostrano un aumento, nel nostro Paese, della domanda di queste tecniche di riproduzione.

Nel 2010 i cicli di trattamento registrati superano i novantamila e i bambini nati grazie alla loro applicazione rappresentano, a oggi, il 2,2% dei nati in Italia. Lo riferisce la Relazione 2012 http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1788_allegato.pdf sullo stato di attuazione della legge contenente norme in materia di procreazione medicalmente assistita, relativa alle attività del 2010, e presentata al Parlamento a luglio 2012.

Le tecniche di Pma applicate appaiono più efficaci e sicure, infatti oltre a un aumento dei tassi di gravidanza ottenuti rispetto ai cicli iniziati (che sono passati, per quanto riguarda le tecniche a fresco, dal 18,8% del 2005 al 20,9 del 2010) si registra anche una riduzione sia delle gravidanze che dei parti trigemini che passano rispettivamente dal 3,4% e dal 2,7% del 2005 al 2,3% e all’1,9% del 2010. Questa diminuzione della percentuale di gravidanze e parti trigemini può essere attribuita anche, e soprattutto, alla diversa possibilità di applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita che deriva dalla modifica legislativa apportata a maggio 2009 dalla sentenza 151 della Corte costituzionale. La sentenza ha infatti dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.14 della legge 40/2004 e in particolare la parte che prevede «un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre» (comma 2) e la parte che non prevede che il trasferimento degli embrioni debba essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna (comma 3).

In questi anni inoltre si è verificato un costante aumento dell’età media delle donne che si rivolgono alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, un fattore che influisce negativamente sulle probabilità di successo delle terapie applicate. Il grado di accessibilità delle tecniche di Pma (che si valuta con la rilevazione del numero di cicli a fresco eseguiti in un anno rapportati alla popolazione generale residente, a livello nazionale) ha quasi raggiunto gli standard di altri Paesi europei con l’offerta di 871 cicli a fresco l’anno per milione di abitanti, ma esistono ancora notevoli differenze a livello regionale. 

Differenze che permangono e si accentuano con un gradiente Nord-Sud anche quando si analizza la disponibilità di offerta di cicli a carico del Sistema sanitario nazionale (Ssn). In Italia, il 64,8% dei cicli a fresco eseguiti in centri di secondo e terzo livello risulta a carico del Ssn, ma con un range che varia dal 95,4% dei cicli offerti in Lombardia e dal 96,6% in Toscana a solo il 15,3% dei cicli offerti in Sicilia o al 17,0% nel Lazio, o addirittura a situazioni dove la totalità dei cicli è offerto in centri privati, come avviene in Calabria.

I dati del Registro nazionale procreazione medico assistita
Il Registro nazionale, sin dal 2006, raccoglie informazioni sulla totalità delle procedure eseguite nel Paese e su tutte le gravidanze ottenute grazie all’applicazione delle tecniche di Pma. Una percentuale di perdita di informazione si registra rispetto al monitoraggio delle gravidanze, valore che si è progressivamente ridotto negli anni di attività del Registro. Nel 2005, infatti, si rilevava una quota di gravidanze di cui non si conosceva l’esito pari al 43,2% mentre, in quest’ultima rilevazione, la perdita di informazioni si è ridotta all’11,4%.

Il quadro che emerge mostra un Paese con una discreta offerta di cicli di trattamento di Pma di cui una buona quota offerta dal Servizio sanitario nazionale. Il problema che si riscontra è rispetto alla diversità regionale rilevata, sia in termini di accesso alle tecniche sia per quanto riguarda la loro rimborsabilità.

Giulia Scaravelli - Registro nazionale procreazione medico assistita

Tratto da Epicentro, Il portale dell'epidemiologia per la sanità pubblica  
http://www.epicentro.iss.it/default.asp

sabato 28 luglio 2012

I diritti dell'infanzia e adolescenza in Italia: pubblicato il 5° rapporto

















5° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia 2011-2012

Aumento della povertà, della dispersione scolastica, del lavoro minorile e dell’esclusione sociale. 
Sono i drammatici effetti della crisi, e del progressivo calo di risorse destinate alle politiche per l’infanzia e l’adolescenza, che sta soffocando i diritti di molti bambini d’Italia. Ma soprattutto mancano dati certi: persiste infatti la carenza di un sistema di raccolta dati, rappresentativi e uniformi tra le varie Regioni, per la misurazione di diversi fenomeni che riguardano i minori, come pedofilia e pornografia, condizioni di adottabilità, sulla violenza, sul maltrattamento dei bambini, sui minori con disabilità, inclusi quelli in età compresa tra 0 e 6 anni e sui minori fuori dalla famiglia. In questo caso la modalità di raccolta dati, così frammentata e disomogenea a livello nazionale, porta ad una scarsa comparabilità delle informazioni che è invece necessaria per rendere effettivo ed esigibile al minore il diritto alla famiglia.
“La mancanza di una visione chiara degli investimenti per l’infanzia e l’adolescenza e l’assenza di fondi per l’implementazione del Piano Nazionale Infanzia aumentano il disagio di molti minori del nostro Paese”, commenta Raffaela Milano a nome del Gruppo CRC (che riunisce 85 associazioni e organizzazioni del terzo settore), che stamani ha illustrato il 5° Rapporto di aggiornamento sulla Convenzione Onu sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza alla presenza del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Elsa Fornero, e del Garante per i diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Vincenzo Spadafora. Il Rapporto fotografa ogni anno la condizione dei minori e degli adolescenti in ogni ambito della loro vita (famigliare, sociale, educativa, sanitaria, legale, ecc.), ne valuta le criticità ed esprime raccomandazioni alle istituzioni competenti al fine di garantire il rispetto dei loro diritti.
In estrema sintesi, tra gli aspetti analizzati dal 5° Rapporto, emerge che il nostro Paese si colloca ai primi posti in Europa per dispersione scolastica e incremento della povertà e supera la media dell’UE per minori a rischio povertà o esclusione sociale. 
Sono 1.876.000 in minori in condizioni di povertà relativa, di cui 1.227.000 al Sud, ai quali si aggiungono 359 mila bambini che nel meridione vivono in condizioni di povertà assoluta, cioè non dispongono di beni essenziali per il conseguimento di standard di vita minimamente accettabili.
Povertà infantile, dispersione scolastica, lavoro minorile, peggioramento delle condizioni di salute e violenza sono fenomeni connessi. La mancanza di strategie condivise e coordinate che stabiliscano priorità, impegni concreti e modalità di finanziamento per contrastare questi fenomeni aggrava il
quadro. Si evidenzia che i più esposti al lavoro precoce sono maschi in età compresa tra gli 11 ed i 14 anni, che risiedono in territori ad alto tasso di disoccupazione e che sono i soggetti più a rischio dal punto di vista cognitivo, relazionale e sociale. Per questo il Gruppo CRC chiede al Governo di approvare un Piano straordinario nazionale di contrasto alla povertà minorile, di implementare un sistema statistico del lavoro minorile a livello nazionale e locale, e di valutare l’impatto che le politiche economiche e le riforme legislative hanno sui più giovani. A proposito di dispersione scolastica, il Gruppo CRC raccomanda al Ministero dell’Istruzione di implementare il sistema informatico relativo all’anagrafe nazionale degli studenti e di finanziare progetti di sostegno e incentivazione allo studio. Esprime inoltre forte preoccupazione per la cancellazione del Fondo Nazionale Straordinario per i Servizi Socio Educativi per la prima infanzia e per la mancata previsione delle allocazioni delle risorse per il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali.
Riguardo alla violenza sui minori, nel Rapporto si sottolinea come in Italia il fenomeno dell’abuso dei minori on line continui ad essere drammaticamente grave ed esteso. L’armonizzazione delle leggi tra i paesi è fondamentale per interventi di contrasto efficaci, ma il disegno di legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote (2007) è ancora in discussione in Parlamento.

Il Rapporto dedica attenzione anche ai minori stranieri in Italia. In particolare approfondisce il tema della protezione e dell’accoglienza dei minori non accompagnati, che al 31 dicembre 2011 risultavano essere 7.750 di cui 1.791 irreperibili. Oltre alla mancanza di un sistema nazionale di accoglienza, il Rapporto segnala alcuni casi in cui i minori sono stati accolti in modo inadeguato, hanno vissuto in condizioni di promiscuità con gli adulti, privati di adeguate cure e della libertà personale. Nel documento, il Gruppo CRC affronta poi l’annosa questione del diritto di cittadinanza dei minori stranieri nati in Italia o giunti nel nostro Paese in tenera età, raccomandando al Parlamento una riforma della Legge 91/1992 per agevolarne l’acquisizione. Infine, il Gruppo CRC raccomanda al Ministero della Salute di recepire quanto gli operatori di settore ed i tecnici delle Regioni propongono e cioè di prevedere l’iscrizione obbligatoria al SSN, o almeno garantire il Pediatra di libera scelta e il Medico di medicina generale a tutti i minori stranieri presenti sul territorio nazionale, a prescindere dalla loro condizione giuridica
Il Gruppo CRC nel suo Rapporto chiede infine che il Parlamento ratifichi al più presto il nuovo Protocollo opzionale alla Convenzione ONU, che prevede la possibilità per i minori di denunciare al Comitato ONU fenomeni di abuso o violazione di propri diritti. “Auspichiamo che ogni istituzione possa, nel proprio ambito di intervento, cogliere l’urgenza delle criticità sollevate nel Rapporto e adoperarsi per risolverle”, conclude Raffaela Milano. “Il Gruppo CRC si impegnerà a collaborare in modo da arrivare al prossimo appuntamento con il Comitato ONU con un quadro delle politiche per l’infanzia e l’adolescenza più conforme alla Convenzione e soprattutto avendo risolto alcune delle criticità più rilevanti del nostro sistema”.


Per ulteriori informazioni:
Ufficio stampa Save the Children Italia
Tel: 06.48.07.0023/001/81 Claudia Caputi 335 356628
press@savethechildren.it
oppure il sito dedicato: www.gruppocrc.net

martedì 3 luglio 2012

ANTONIO CAO

È morto Antonio Cao. Non all’improvviso. Un cancro polmonare. Un anno fa eravamo assieme, a Ferrara, a ricordare l’altro campione della guerra alla talassemia, Rino Vullo.
 
Tutti si muore, con la propria storia alle spalle, dopo aver fatto parte della grande comunità umana, e della piccola comunità che mette ciascuno in relazione con questo insieme caotico e grandioso, con questo insieme in marcia non si sa per dove, che è, appunto, l’umanità. La piccola comunità in cui ha operato, per più di mezzo secolo, Antonio Cao, siamo noi, la pediatria. E la pediatria è una piccola nicchia nella macchina della medicina, che a sua volta è un sistema complesso, parte di un sistema enormemente più complesso, in cui il peso di ciascuno è quasi impercettibile. Eppure non è così. 
Non è così mai, perché tutto quello che facciamo, ogni decisione che prendiamo, ogni momento del nostro rapporto con i nostri compagni di viaggio, ha un peso. E certamente il peso di Antonio nella storia della sua isola, la Sardegna, nella storia della malattia sociale più importante della sua isola, e di tutta l’Italia, la talassemia, nella storia delle migliaia di persone che con questa malattia sono e sono state implicate, e nella storia della pediatria italiana, dico proprio nella sua storia materiale, ma anche nella storia della scienza, dunque direttamente nella storia dell’umanità, è stato molto più grande di quello della maggior parte dei suoi compagni di viaggio.
 
Cao, in portoghese, vuol dire cane; e si pronuncia anche così: “can”. E sebbene lui non fosse d’accordo su questa mia interpretazione fiabesca delle sue origini, io non ho mai potuto fare a meno di immaginare i suoi progenitori, nobili ebrei portoghesi in fuga dalla penisola iberica, trovare pace e rilevante collocazione sociale nell’isola ruvida, aperta ai venti e agli stranieri. E a lui anche, il nome di “cane” non è che non si adattasse. Un mastino. Uno che non lasciava andare. Superbo e ostinato nella Sua ragione: che era la ragione di uno che l’etica ce l’ha dentro. Un’etica che non tiene conto delle “circostanze”, del modo di pensare corrente, delle debolezze di un mondo debole. L’etica che non si nomina, che non si sbandiera, ma che detta quasi automaticamente le scelte: “non posso fare le cose che non sento di poter fare”. La mia esperienza della vita, e del mondo, e specialmente delle cose che succedono là dove la professione diventa diplomazia, e dove si segnano i destini delle persone (e dunqueanche delle cose) sono limitate. Ma, pur conoscendo persone “le più brave del mondo”, non conosco nessuno che, nei fatti,
abbia saputo fare quello che lui ha fatto, decidere silenziosamente, in concorso, contro ogni pre-decisione, contro ogni “conoscenza”, contro ogni accettato compromesso, e solo per scegliere, liberamente, i migliori, quelli che risultavano tali, concretamente, nella loro storia, nei loro lavori, nel loro impact factor.
La storia di Antonio Cao ha a che fare anche con la storia di Medico e Bambino, su cui ha anche scritto, sui suoi temi difficili, col suo scrivere non facile.
Nel 1968 soffiava in Italia un bel vento di rinnovamento. Questo vento è soffiato anche per la Pediatria; e, per la Pediatria, non c’è dubbio che quel vento si chiamasse ACP. Lui è sempre stato, con Sereni, con Durand, con Sansone, con Vullo, con Biasini, e con tanti altri, al centro delle operazioni.
È stato, e lo era ancora, con Prospettive in Pediatria, la Rivista che voleva portare in Italia, ancora chiusa nel ricordo dell’autarchia, la cultura pediatrica del Mondo.
Mi viene ancora in mente, perdonatemi, un altro Cao (portoghese, naturalmente): “nel 1471 Diego Cao, per primo, doppia Cabo Catalina con due vascelli, ciascuno dei quali porta nella stiva una croce di pietra alta due metri, un padrão: il primo lo pianta sulla sponda sud del fiume Congo, e il secondo al Cabo Santa Maria, vicino a Luanda”. Col vento fresco, verso il nuovo.
Ha diretto la Clinica Pediatrica di Cagliari dal 1974; dal 1980 ha diretto l’Istituto di Microcitemia; nel 1992 è diventato direttore del Centro del CNR per la ricerca sulla talassemia. Nel 2010 gli è stata conferita l’onorificenza di Maestro della Pediatria italiana, non soltanto per meriti di carattere culturale ma anche per quelli di ordine sociale e morale. Ma mi piace più ricordare un riconoscimento minore, quello della consegna del “Sardus Pater”. Gliel’ha dato nel 2008 l’allora Presidente Soru, indimenticabile anche lui: e sarebbe l’immagine del favoloso padre originario di tutta l’isola: “Le consegno questo premio come a un babbai (babbai vuol dire papà) di tutta la popolazione sarda. Non è stato soltanto un padre per tanti bambini che oggi possono nascere sani, ma anche per il ruolo di Maestro della Scienza. Dopo i ringraziamenti di tutti i genitori della Sardegna, la ringraziamo anche noi, rappresentanti delle Istituzioni”. Queste, e molte altre, sono, comunque, delle medaglie. Ciascuno è sempre qualcosa di più, ovvero qualcosa di meno delle sue medaglie. Lui, il nobile mastino, era molto di più delle sue medaglie.

Franco Panizon

sabato 30 giugno 2012

Italia "polio free" 21 giugno 2002 - 21 giugno 2012

Il 21 giugno 2002, nel corso del 14° meeting della Commissione regionale di certificazione (RCC), tenutosi presso l'Ufficio regionale Europeo dell'OMS, a Copenhagen, è stata ufficialmente dichiarata l'eradicazione della poliomielite nella regione Europea (che si estende dal Portogallo alla Siberia, comprendendo, oltre ad israele e turchia, gli Stati caucasici ed asiatici, un tempo facenti parte dell'URSS), affiancandosi alle altre due regioni dell'OMS già certificate nel 1994 (Regione delle Americhe) e nel 2000 (Regione del Pacifico occidentale). 

L'Italia, pur essendo stata ufficialmente certificata "polio-free" il 21 giugno 2002, è un paese libero dalla polio dalla seconda metà degli anni '80.

Tuttavia la ricomparsa della malattia è sempre possibile ed è importante continuare a sorvegliare attentamente la suapossibile reintroduzione nel nostro paese, in quanto sono in corso focolai epidemici di polio in Paesi della Regione Europea ed Africana, non così lontani da noi.

Altrettanto importante è continuare a vaccinare tutti i nuovi nati contro la polio e fare i richiami previsti per l'infanzia, finché la poliomielite non sarà eradicata in tutto il mondo, come è avvenuto in passato per il vaiolo.

L’Italia è attivamente coinvolta in numerose attività, richieste dall'OMS, necessarie per la certificazione dell’eradicazione della poliomielite (sorveglianza delle Paralisi Flaccide Acute, sorveglianza ambientale, contenimento di laboratorio etc.) ed è fondamentale continuare a sensibilizzare e motivare ulteriormente le strutture e quanti sono impegnati in queste azioni.
FONTE: Ministero della salute

sabato 2 giugno 2012

Una guida per i medici in tema di abuso sessuale dei bambini prepuberi

Anche in Italia, pur se in ritardo in rapporto ai Paesi anglosassoni, il tema dell’abuso sessuale sui bambini ha iniziato a essere considerato, dalla fine degli anni ’80, come un problema anche di interesse medico e non solo psicologico e/o sociale. Corsi di formazione, corsi di sensibilizzazione, convegni tematici hanno contribuito ad accendere l’attenzione sugli aspetti anche di pertinenza medica quando un/a bambino/a è vittima di abuso sessuale. Tuttavia i problemi che i medici esprimono quando sono coinvolti in una diagnosi di abuso sessuale sono ancora tanti.

Sul numero di Medico e Bambino di Maggio 2012 viene pubblicata nella rubrica Linee Guida un documento dal titolo:  

L'articolo è curato da MARIA ROSA GIOLITO, Direttore SC Consultori Familiari e Pediatria di Comunità, ASL-TO2, Torino, a nome del GRUPPO DI LAVORO PER L’ABUSO E IL MALTRATTAMENTO ALL’INFANZIA.

Si tratta di un documento che presenta i requisiti essenziali per i professionisti medici, sia territoriali che ospedalieri, che si trovano a valutare un soggetto prepubere, sospetta vittima di abuso sessuale al fine di fornire un supporto scientifico, di uniformare le modalità della visita medica e di ridurre il rischio di errore in un settore di particolare complessità.
 La guida elaborata e pubblicata nel settembre 2010, L’abuso sessuale nei bambini prepuberi. Requisiti e raccomandazioni per una valutazione appropriata (Pensiero Scientifico Editore), ha lo scopo di fornire un aiuto ai professionisti medici che si trovano a valutare un soggetto prepubere con sospetto di abuso sessuale. Ha il principale obiettivo di definire alcuni requisiti essenziali e diffonde alcune conoscenze per evitare errori che possano ripercuotersi negativamente sulla valutazione.

Scrivono gli Autori:
• Molti medici “faticano” ancora a immaginare che i bambini incontrati nella loro pratica clinica possano essere vittime di abuso sessuale.
• Ancora pochi sono i professionisti che hanno avuto dei percorsi formativi specifici sulla tematica e a tutt’oggi peraltro non è ancora prevista, nella maggior parte delle scuole di specializzazione in ginecologia, pediatria e medicina legale, una formazione mirata né alla valutazione dei genitali e della loro anatomia nel bambino/a prepubere normale e relative varianti anatomiche, né ai segni fisici riferibili a esiti di atti di abuso sessuale e/o a esiti di eventi traumatici accidentali.
•Succede ancora che alcuni medici del Dipartimento di Emergenza e Accettazione (DEA) non visitino i/le bambini/e accompagnati/ e per un sospetto di abuso sessuale adducendo motivazioni anacronistiche (“Non è di mia competenza”, “La bambina è accompagnata solo dalla nonna che non ha la patria potestà”, “Non mi sembrava importante”…).
• È diffuso il pregiudizio che sia alta l’incidenza di false accuse di abuso sessuale sui figli fatte dalle madri in contesti di separazione e divorzi al fine di averne dei vantaggi o per vendetta contro l’ex partner e che quindi non sia necessario occuparsene.

Giolito MR
UNA GUIDA PER I MEDICI IN TEMA DI ABUSO SESSUALE DEI BAMBINI PREPUBERI. 
 Medico e Bambino 2012;31:291-97 

 

sabato 26 maggio 2012

Nuovo rapporto CeDAP, analisi dell'evento nascita in Italia


 
L'analisi dei dati sanitari e socio-demografici di oltre 548mila parti in 549 punti nascita nel nostro Paese è l'obiettivo dell'8° Rapporto CeDAP - Analisi dell'evento nascita. Il documento, realizzato dall'Ufficio di Direzione Statistica del Ministero della Salute, raccoglie le informazioni rilevate dal flusso informativo del Certificato di Assistenza al Parto (CeDAP) del 2009.
La rilevazione, istituita dal Decreto ministeriale 16 luglio 2001 n.349 "Modificazioni al certificato di assistenza al parto, per la rilevazione dei dati di sanità pubblica e statistici di base relativi agli eventi di nascita, alla natimortalità ed ai nati affetti da malformazioni", costituisce la più ricca fonte a livello nazionale di informazioni sanitarie, epidemiologiche e socio-demografiche relative all'evento nascita.

Il rapporto 2009, con un totale di 549 punti nascita, presenta una migliore copertura rispetto agli anni precedenti: ben il 49% di schede in più rispetto al 2002, un numero di parti pari al 98,2% di quelli rilevati con la Scheda di Dimissione Ospedaliera (SDO) ed un numero di nati vivi pari al 98,0% di quelli registrati presso le anagrafi comunali nello stesso anno. La qualità dei dati risulta buona per gran parte delle variabili, in termini sia di correttezza sia di completezza.

Di seguito una sintesi degli altri dati presenti nel documento:

Dove si partorisce
L'87,7% dei parti è avvenuto negli Istituti di cura pubblici, il 12,1% nelle case di cura e solo 0,2% altrove. Naturalmente nelle Regioni in cui è rilevante la presenza di strutture private accreditate rispetto alle pubbliche, le percentuali sono sostanzialmente diverse. Il 66,7% dei parti si svolge in strutture dove avvengono almeno 1.000 parti annui. Tali strutture, in numero di 204, rappresentano il 37,2% dei punti nascita totali. Il 7,92% dei parti ha luogo invece in strutture che accolgono meno di 500 parti annui.

Caratteristiche delle madri
  • Nel 2009, il 18,0% dei parti è relativo a madri di cittadinanza non italiana. Tale fenomeno è più diffuso al centro nord dove oltre il 20% dei parti avviene da madri non italiane; in particolare, in Emilia Romagna, quasi il 28% delle nascite è riferito a madri straniere. Le aree geografiche di provenienza più rappresentative, sono quella dell'Africa (27,8%) e dell'Unione Europea (24,7%). Le madri di origine Asiatica e Sud Americana sono rispettivamente il 18,2% e l'8,8% di quelle non italiane
  • l'età media della madre è di 32,5 anni per le italiane mentre scende a 29,1 anni per le cittadine straniere. I valori mediani sono invece di 32,3 anni per le italiane e 28,3 anni per le straniere. L'età media al primo figlio è per le donne italiane quasi in tutte le Regioni superiore a 31 anni con variazioni sensibili tra le regioni del nord e quelle del sud. Le donne straniere partoriscono il primo figlio in media a 27,5 anni
  • delle donne che hanno partorito nell'anno 2009 il 45,0% ha una scolarità medio alta, il 33,7% medio bassa ed il 21,3% ha conseguito la laurea. Fra le straniere prevale invece una scolarità medio bassa (52,0%)
  • l'analisi della condizione professionale evidenzia che il 59,8% delle madri ha un'occupazione lavorativa, il 31,2% sono casalinghe e il 7,3% sono disoccupate o in cerca di prima occupazione. La condizione professionale delle straniere che hanno partorito nel 2009 è per il 55,7% quella di casalinga a fronte del 65,8% delle donne italiane che hanno invece un'occupazione lavorativa
  • nel 92,27% dei casi la donna ha accanto a sé al momento del parto (sono esclusi i cesarei) il padre del bambino, nel 6,37% un familiare e nell'1,16% un'altra persona di fiducia. La presenza di una persona di fiducia piuttosto che di un'altra risulta essere influenzata dall'area geografica.
Eccessivo ricorso al parto cesareo
Si conferma il ricorso eccessivo all'espletamento del parto per via chirurgica. In media, il 38,0% dei parti avviene con taglio cesareo, con notevoli differenze regionali che comunque evidenziano che in Italia vi è un ricorso eccessivo all'espletamento del parto per via chirurgica. Rispetto al luogo del parto si registra un'elevata propensione all'uso del taglio cesareo nelle case di cura accreditate in cui si registra tale procedura in circa il 58,3% dei parti contro il 35,0% negli ospedali pubblici. Il parto cesareo è più frequente nelle donne con cittadinanza italiana rispetto alle donne straniere, nel 28,6% dei parti di madri straniere si ricorre al taglio cesareo mentre si registra una percentuale del 40,1% nei parti di madri italiane.

Esami diagnostici durante la gravidanza
Nell'84,2% delle gravidanze il numero di visite ostetriche effettuate è superiore a 4 mentre nel 73,2% delle gravidanze si effettuano più di 3 ecografie. La percentuale di donne italiane che effettuano la prima visita oltre la 12° settimana è pari al 2,9% mentre tale percentuale sale al 15,0% per le donne straniere. Le donne con scolarità bassa effettuano la prima visita più tardivamente rispetto alle donne con scolarità medio-alta: si sottopongono alla prima visita oltre la 12° settimana il 12,3% delle donne con scolarità bassa, mentre per le donne con scolarità alta la percentuale è del 3,1%. Per le donne più giovani si registra una frequenza più alta di casi in cui la prima visita avviene tardivamente (12,9% nelle madri con meno di 20 anni). In media, inoltre, sono state effettuate 14,2 amniocentesi ogni 100 parti. A livello nazionale alle madri con più di 40 anni il prelievo del liquido amniotico è stato effettuato in quasi la metà dei casi (40,69%).

Procreazione medicalmente assistita
Per circa 6.786 parti si è fatto ricorso ad una tecnica di procreazione medicalmente assistita (PMA), in media 1,23 ogni 100 gravidanze. La tecnica più utilizzata è stata la fecondazione in vitro con successivo trasferimento di embrioni nell'utero (FIVET), seguita dal metodo di fecondazione in vitro tramite iniezione di spermatozoo in citoplasma (ICSI).

Dati relativi ai neonati
L'1% dei nati ha un peso inferiore a 1.500 grammi ed il 6,1% tra 1.500 e 2.500 grammi. Nei test di valutazione della vitalità del neonato tramite indice di Apgar, il 99,2% dei nati ha riportato un punteggio a 5 minuti dalla nascita compreso tra 7 e 10. Sono stati rilevati 1.578 nati morti corrispondenti ad un tasso di natimortalità, pari a 2,83 nati morti ogni 1.000 nati, e 5.529 nati con malformazioni. L'indicazione della causa è presente rispettivamente solo nel 19,4% dei casi di natimortalità e nel 51,2% di nati con malformazioni.

Fonte Ministero della Salute 

domenica 13 maggio 2012

La gestione informatizzata dell'attività del pediatra di famiglia

Medico e Bambino pubblica sul numero di Aprile 2012 un contributo sulla gestione informatizzata dell'attività del pediatra di famiglia. La cartella medica orientata per problemi, un modello teorico nato nel 1969, oggi naturalmente computerizzabile, rappresenta ancora il modello ideale per gestire la quotidianità senza perdere di vista i problemi di fondo, espliciti e racchiusi nella quotidianità stessa. È stata definita lo strumento più utile a disposizione di un medico di famiglia, ma crediamo che sia di estrema utilità anche per il pediatra ospedaliero.


Il modello della Cartella Medica Orientata per Problemi (CMOP) mantiene la sua fruibilità nella registrazione del quotidiano, associata a una lista aggiornata e sintetica dei problemi, concisa e completa, facilmente leggibile da collaboratori, sostituti, consulenti o altri colleghi chiamati a intervenire d’urgenza.
È strutturata in quattro parti tra loro collegate: la lista dei problemi, occasionalmente aggiornata, i dati di base, i programmi, e il diario clinico, aggiornato a ogni visita.

Nella lista dei problemi possono essere inclusi, oltre alle malattie con diagnosi già definita (es. asma, tonsillite ricorrente, obesità), anche gli stati fisiopatologici (es. difficoltà di alimentazione, basso peso), i sintomi rilevanti da monitorare (es. tosse persistente), i segni obiettivi non spiegati (es. fegato palpabile, ipertrofia dei turbinati), i problemi da affrontare (es. anemia ipocromica non spiegata, VES alta di natura non determinata).
In ciascun ambito, le note vanno organizzate secondo lo schema SOAP, in sottosezioni contraddistinte da ciascuna delle quattro lettere: S (dati SOGGETTIVI riferiti), O (dati OBIETTIVI), A (ASSESSMENT, valutazioni e riflessioni del medico), P (PROGRAMMA di intervento).
La CMOP, oltre alla facilità e all’immediatezza della lettura, per chiunque ma specialmente per il medico curante consente di “non perdere” i problemi: così una ricerca su 400 CMOP e 400 cartelle cliniche "normali” mostrava che, col secondo tipo di gestione, erano stati “persi” 77 problemi, uno ogni 6 pazienti, contro zero delle CMOP.

M. Doria, V. Murgia, G. Ventriglia.
LA GESTIONE INFORMATIZZATA DELL’ATTIVITA' DEL PEDIATRA DI FAMIGLIA.  
Medico e Bambino 2012;31:227-232


giovedì 3 maggio 2012

Vaccinazione Morbillo Rosolia e Parotite e Autismo: un falso in atto pubblico

 
Sembrava una vecchia teoria ormai screditata, invece il Tribunale di Rimini è tornato a sostenere che un vaccino può fare diventare autistico un bambino. Lo ha fatto con la sentenza n. 2010\148, Ruolo n°2010\0474; Cron. N° 2012\886, con la quale ha accolto il ricorso presentato da una coppia di genitori contro il ministero della Salute per chiedere il pagamento dell’indennizzo per complicanze irreversibili causate da una vaccinazione. Contro la sentenza, che ha destato molto clamore, si sono pronunciati tutti i Board Scientifici di Società, Associazioni e Federazioni che hanno sottolineato il loro sconcerto, richiamandone le ragioni: la sentenza fa riferimento ad un vecchio studio che è stato dichiarato come un  falso storico, per dichiarazione della stessa rivista che lo aveva pubblicato.
Abbiamo ritenuto opportuno riportare il testo integrale riportato dai colleghi dell’Istituto Superiore di Sanità sull’argomento. Il contenuto del documento assume un peso scientifico che di per sè fà fronte alle notizie false ed alla disinformazione, che purtroppo hanno trovato spazio in un atto di un Tribunale colpevolmente non al passo con i tempi.


La presenza di una possibile associazione causale tra vaccinazione con il vaccino Mpr e autismo è stata estensivamente studiata. Il termine autismo si riferisce a un insieme di patologie caratterizzate da problemi di comunicazione e interazione con gli altri, unite a una tendenza a mostrare comportamenti o interessi ripetitivi. I pazienti con disordini di tipo autistico possono presentare uno spettro ampio di condizioni cliniche: da una sostanziale assenza di interazione con gli altri, a situazioni in cui l’adattamento al contesto sociale è buono nella maggior parte dei casi. Di solito l’autismo viene diagnosticato nel secondo anno di vita o in età prescolare, anche se in alcuni bambini la diagnosi è più tardiva. È stato inoltre riportato che il 20% circa dei bambini con autismo presenta una regressione del comportamento; questi bambini, cioè, hanno uno sviluppo neurocomportamentale apparentemente normale fino a un certo punto della loro vita, quando perdono le capacità di comunicazione acquisite fino a quel momento. L’autismo può aver molte cause e si ritiene che tra i fattori più importanti vi siano quelli genetici e la presenza alla nascita di anomalie cerebrali.

L’ipotesi che la vaccinazione Mpr possa essere associata ad autismo è stata sollevata negli anni Novanta da uno studio inglese, in cui si sosteneva che il vaccino trivalente Mpr potesse provocare un’infiammazione della parete intestinale, responsabile del passaggio in circolo di peptidi encefalo-tossici. Questa ipotesi ha avuto una vasta risonanza sulla stampa anglosassone, ed è stata successivamente valutata da numerosi studi condotti sia in Europa che negli USA. Nessuno degli oltre 20 studi condotti negli ultimi 13 anni ha confermato che possa esserci una relazione causale tra vaccino Mpr e autismo. Inoltre, gli stessi autori dello studio inglese hanno successivamente ritirato le loro conclusioni e dichiarato che i dati presentati erano insufficienti per stabilire un’eventuale relazione causale e nel 2010 la nota rivista medica “The Lancet”, che aveva pubblicato lo studio sopra citato nel 1998, ha formalmente ritirato tale articolo. Oltretutto è stato recentemente riportato che, oltre ai difetti epidemiologici di questo studio, numerosi fatti circa la storia anamnestica dei pazienti fossero stati alterati dall’autore per supportare i risultati e che l’intero studio fosse distorto da interessi economici. In particolare:
  • tre dei nove casi riportati nello studio come affetti da autismo regressivo non erano mai stati diagnosticati come autistici
  • nonostante lo studio riportasse che prima della vaccinazione 12 bambini erano “normali”, cinque avevano una documentazione che attestava precedenti problemi dello sviluppo
  • è stato riportato che alcuni bambini avevano sviluppato dei sintomi comportamentali nei giorni successivi alla vaccinazione, ma nella documentazione clinica veniva riportato che l’inizio di tali sintomi era avvenuto alcuni mesi dopo la vaccinazione
  • in nove casi, i risultati istopatologici del colon sono stati alterati da “nessuna o una minima fluttuazione nelle cellule infiammatorie” a “colite non specifica”
  • i soggetti erano stati reclutati attraverso gruppi di persone contrari alla vaccinazione Mpr e lo studio è stato commissionato e finanziato con l’obiettivo di avviare una vertenza legale.
L’Autore è stato radiato dall’Ordine dei medici per il suo comportamento.
La possibile relazione tra vaccini Mpr e autismo è stata ampiamente analizzata da un gruppo indipendente di esperti negli Usa (Institute of medicine, Iom) il quale, sulla base di una approfondita revisione degli studi clinici ed epidemiologici esistenti, ha concluso che le evidenze disponibili respingono l’ipotesi di una relazione causale. I Centers for disease control and prevention (Cdc) statunitensi e altre organizzazioni inclusa l’American academy of pediatrics, un’organizzazione professionale con 60 mila membri, hanno raggiunto le stesse conclusioni.

Una recente review ha, inoltre, riportato e valutato i numerosi studi epidemiologici condotti in diversi Paesi europei e americani per indagare la relazione tra vaccino Mpr e autismo, concludendo che non esiste un nesso causale. L’ampia dimensione delle popolazioni studiate ha permesso di raggiungere un livello di potere statistico sufficiente a rilevare anche rare associazioni.
Inoltre, i potenziali meccanismi biologici finora ipotizzati per spiegare come il vaccino Mpr possa scatenare l’insorgenza di una sindrome autistica sono solo teorici e non supportati da evidenze scientifiche. Non è stato dimostrato che il vaccino trivalente sia causa di infiammazione cronica intestinale o perdita della funzione della barriera intestinale, né esiste alcuna evidenza di un possibile ruolo del sistema immunitario nell’autismo.

Anche se alcuni dati suggeriscono che l’incidenza di autismo sia in aumento non è chiaro se questo aumento sia reale o dovuto a una migliorata conoscenza della sindrome tra i medici o all’utilizzo di una più ampia definizione di caso per la diagnosi, e comunque non è stata rilevata alcuna correlazione tra incremento dell’incidenza dell’autismo e incremento dei tassi di copertura vaccinale con il vaccino trivalente.
Al contrario, uno studio recente ha messo in evidenza che negli Stati Uniti la vaccinazione contro la rosolia, che nella maggioranza dei casi viene somministrata come vaccino Mpr, ha evitato, dal 2001 al 2010, centinaia e forse migliaia di casi di disturbi dello spettro autistico.

L’insieme degli studi pubblicati indica, quindi, che non ci sono elementi che sostengono un nesso causale tra la somministrazione dei vaccini Mpr e il disturbo autistico.

Risulta opportuno, invece, considerare la rilevanza della promozione della vaccinazione Mpr con due dosi al fine dell’eliminazione del morbillo e della rosolia congenita anche nel nostro Paese.

 Stefania Salmaso (direttore Cnesps) e reparto di Epidemiologia delle malattie infettive (Cnesps, Iss)

Tratto da EPICENTRO, Portale di Epidemiologia per la Salute Pubblica
 http://www.epicentro.iss.it/temi/vaccinazioni/MPR_autismo.asp

domenica 8 aprile 2012

La Febbre da denti esiste veramente? Una rivisitazione storica in occasione dei 30 anni di Medico e Bambino

In occasione dei 30 anni di Medico e Bambino la rivisitazione sulla Pagina Gialla del numero di Marzo di un articolo pubblicato nel 1982 e rivisto alla luce di recenti lavori che si chiedono ancora se la febbre da denti esiste veramente




La febbre da denti esiste veramente? Questo articolo uscito sul quarto numero di Medico e Bambino (anche se, piccola curiosità storica, annunciato erroneamente nell’indice del primo numero) rappresenta nei fatti un esempio ante litteram di metanalisi: una revisione critica e selettiva della letteratura per mettere ordine in un problema tanto banale quanto (almeno allora) dibattuto.
Era un articolo non firmato, come spesso usavamo fare allora: un po’ per non ripetere troppe volte gli stessi nomi d’Autore, un po’ perché eravamo convinti che fosse giusto così, trascinati dall’ideologia che quello che stavamo facendo doveva semplicemente essere utile agli altri. Solo tre studi prospettici, tra i tanti presenti nella letteratura di allora, furono presi in considerazione
perché ritenuti sufficientemente adeguati sul piano metodologico (e dire che la Cochrane era lontana dal nascere…).
Le conclusioni? La dentizione può associarsi a disturbi “locali” (come la salivazione) o generali (come l’irritabilità). Non è invece associata a febbre. Tutto questo vuol dire, sottolineano gli Autori, che se un bambino con eruzione dentaria (in corso o appena avvenuta) ha la febbre va visitato e affrontato come un qualsiasi altro bambino con febbre per non incorrere nel rischio di mancare una diagnosi di malattia suscettibile di cura (Redazionale. Medico e Bambino 1982,1(4),61-3). La letteratura che si è aggiunta negli ultimi trent’anni conferma che eravamo nel giusto. Nel 2007, una metanalisi pubblicata su una autorevole rivista internazionale (Tighe M, et al. Arch Dis Child 2007;92:266-28) conclude che non ci sono evidenze che la dentizione procuri febbre, che non si può nemmeno dire che esistano con certezza sintomi specifici della dentizione (in uno degli studi prospettici presi in considerazione l’ipersalivazione, l’arrossamento gengivale, l’irritabilità o l’alvo irregolare mancano del tutto in più del 35% delle eruzioni) e che quindi non bisogna mai accettare una diagnosi di comodo di “febbre da denti” senza aver prima escluso altre cause.

Un recentissimo studio prospettico pubblicato su Pediatrics (Ramos-Jorge J, et al. Pediatrics 2011;128:471-6), pur evidenziando la possibilità che la dentizione si accompagni a qualche disturbo minore come l’irritabilità e l’ipersalivazione, riconferma inequivocabilmente che la febbre da denti “non esiste” e rimarca che questa diagnosi non andrebbe quindi mai posta. Ci sconforta non poco, quindi, che nell’ultima edizione (la diciannovesima) del nostro mitico Nelson, la low-grade fever venga ancora segnalata come un sintomo di accompagnamento della dentizione (pag. 1257). Il prof. Tinanoff che ha scritto il capitolo è un odontoiatra e, probabilmente, legge una letteratura diversa da quella che leggiamo noi… Lo abboneremo a Medico e Bambino!