mercoledì 21 marzo 2018

Cure palliative: i farmaci di uso consolidato off-label nelle popolazioni pediatrica e adulta

Due documenti di Aifa e Sicp che raccolgono le evidenze scientifiche disponibili a supporto dell’impiego off-label dei medicinali più frequentemente utilizzati nell’ambito delle cure palliative, nelle popolazioni pediatrica e adulta.

L’Agenzia Italiana del Farmaco e la Società Italiana di Cure Palliative (Sicp), nell’ambito del tavolo di lavoro dedicato alle cure palliative, hanno redatto due documenti che raccolgono le evidenze scientifiche disponibili a supporto dell’impiego off-label dei medicinali più frequentemente utilizzati nell’ambito delle cure palliative, rispettivamente nelle popolazioni pediatrica e adulta. “L’obiettivo” spiega l’Aifa “è attestare l’uso off-label consolidato di tali farmaci e proporne il loro utilizzo ai sensi della legge 648/96, in assenza di dati derivanti dai relativi studi clinici registrativi. Ad oggi, infatti, i trattamenti farmacologici palliativi, pur essendo basati su pratiche consolidate e specifiche linee guida, sono spesso impiegati nella pratica clinica in modo off-label, ovvero in maniera non conforme (per indicazione e/o via di somministrazione, posologia e formulazione) alle indicazioni autorizzate dalle agenzie regolatorie. Ciò è dovuto principalmente alla complessità di condurre studi randomizzati controllati in popolazioni fragili, quali adulti e bambini, nella fase terminale della vita, che comporta quindi la mancata registrazione di indicazioni in ambito palliativo.
Pertanto, in alcuni casi, in assenza di alternative autorizzate, l’impiego off-label di medicinali rappresenta per il clinico l’unica possibilità terapeutica di trattare il proprio paziente. I documenti pubblicati contengono una lista di possibili farmaci da impiegare ai sensi della Legge 648/96: nello specifico si tratta di 10 farmaci impiegati off-label routinariamente nelle cure palliative in età pediatrica e di 8 utilizzati con le stesse finalità nell’adulto. Per ciascun principio attivo individuato” aggiunge l’Agenzia “è stata formalizzata una scheda in cui è indicata la specifica indicazione di richiesta di autorizzazione nella pratica clinica, il razionale e le evidenze a supporto della richiesta (con l’abstract dei singoli lavori) ed eventuali note aggiuntive”.


FARMACI OFF-LABEL IN CURE PALLIATIVE (CP) PER LA POPOLAZIONE PEDIATRICA (http://www.aifa.gov.it/sites/default/files/OffLabel_pediatrica.pdf)

Vedi anche:

Il sito dell'AIFA







domenica 4 marzo 2018

Con la dieta vegana rischio di danni neurologici al feto


In Italia è stato recentemente segnalato un allarmante, sensibile incremento dei casi di deficit materno di vitamina B12, una malattia rara che può comportare danni neurologici anche molto gravi per il bambino. Nel 2016, infatti, i casi di questa patologia, identificati attraverso lo screening neonatale esteso, sono cresciuti di tre volte rispetto al 2015 (da 42 a 126). Tra le cause di questo incremento c’è proprio la sempre maggior diffusione di diete vegetariane e vegane, che molte donne decidono di non sospendere nemmeno quando si trovano in stato di gravidanza.

Triplicati in due anni i casi di deficit di vitamina B12 in gravidanza con il rischio di danni neurologici permanenti per il neonato: dieta vegana e vegetariana tra le cause. L’allarme arriva dagli esperti dell’ ospedale Bambino Gesù di Roma e dell’ospedale Meyer di Firenze che hanno individuato, attraverso lo screening neonatale esteso, negli errati regimi alimentari della madri uno dei motivi del deficit dell’importante vitamina. Si è passati, spiegano gli esperti, dai 42 casi del 2015 ai 126 del 2016.

I numeri in assoluto sono bassi, spiegano gli specialisti, perché siamo di fronte a una malattia rara, ma “è la crescita a destare allarme”. I dati dei rapporti tecnici Simmesn (Società Italiana per lo studio delle Malattie Metaboliche Ereditarie e lo Screening Neonatale) sono inquietanti. “La vitamina B12, o cobalamina, è contenuta negli alimenti di origine animale, ha un importante ruolo nello sviluppo del sistema nervoso centrale e il suo fabbisogno aumenta in gravidanza. Se la madre non ne assume abbastanza, o peggio non ne assume affatto, può creare al neonato danni neurologici già in utero, che proseguono e peggiorano nei mesi successivi, con l’allattamento”, spiega Carlo Dionisi Vici, responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Patologia Metabolica dell’ospedale Bambino Gesù di Roma.
 
“Per un corretto sviluppo del bimbo, le diete latto-ovo-vegetariane e vegane sono inadeguate, soprattutto considerando l’ambito neurologico, psicologico e quello motorio”, spiega il relatore Andrea Vania, Professore di Nutrizione Pediatrica all’Università La Sapienza di Roma. Fin dai primi mesi di vita, precisano gli specialisti, la scelta migliore è quella che prevede il consumo prevalente di alimenti vegetali, ma anche l’uso, seppur limitato, di prodotti animali. Latte, uova e alimenti ricchi di vitamina B12, ferro e omega 3, devono trovare posto in tavola.

“Il deficit materno di vitamina B12 oggi colpisce circa 1 neonato su 4.000, conta quindi più di 100 casi l’anno in Italia, che non sono affatto pochi – aggiunge – questa condizione si riscontra nei figli degli immigrati provenienti da Paesi come il Pakistan, il Bangladesh o l’India, che per tradizione hanno una dieta prevalentemente vegetariana. Quello che sempre più frequentemente stiamo osservando è la scelta di molte donne italiane di seguire la dieta vegana anche in gravidanza, senza mettere in conto i pericoli che fanno correre ai loro bambini”.

Sull’argomento interviene anche Giancarlo la Marca, presidente Simmesn e direttore del Laboratorio Screening Neonatale Allargato dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Meyer di Firenze: “I mezzi di comunicazione e quelli istituzionali dovrebbero segnalare subito e con forza la pericolosità di una dieta vegetariana o vegana in gravidanza. Le madri carenti di questa vitamina nella loro alimentazione, devono assumere degli integratori durante la gravidanza e l’allattamento, perché i loro figli sono gravemente a rischio di malattia”. Il direttore dell’Osservatorio Malattie Rare, Ilaria Ciancaleoni Bartoli commenta che “trattandosi di una malattia molto grave, ma in molti casi anche facilmente evitabile, fare corretta informazione diventa un dovere etico che spetta a medici, media e istituzioni: una campagna di informazione seria e condivisa potrebbe salvare molte vite”.