martedì 23 febbraio 2010

Il bisturi facile dei ginecologi italiani. Soprattutto nelle strutture private

L'Informazione è riportata nella Rubrica di Medico e Bambino Pagine elettroniche "Striscia la notizia".

Record di parti chirurgici nel nostro Paese: cesaree quattro nascite su dieci, un tasso quasi doppio rispetto al resto dell'Europa. Le cause? Disinformazione tra le donne, medici "pigri" e denaro facile...
Nel nostro Paese il ricorso alla parto con taglio cesareo ha raggiunto livelli allarmanti. Non che sia una novità, già nel '94, infatti, l'Italia era il secondo paese del mondo, dopo il Brasile, per numero di intervernti. Ma la situazione, anziché migliorare, è peggiorata: il rapporto "Osservasalute" rileva che la cifra è in continuo aumento, si è passati dall'11% del 1980 al 38,3% del 2008, quando il valore individuato dall'Organizzazione Mondiale per la Sanità come limite a garanzia del massimo beneficio per la salute di mamme e bambini è del 15% e la media europea si attesta intorno al 20-25%.
Come se non bastasse, ecco un'altro dato sospetto: si registra una spiccata variabilità su base interregionale, con percentuali tendenzialmente più basse nell'Italia settentrionale e più alte nel Sud, probabile indizio, afferma l'Istituto Superiore della Sanità, di "comportamenti clinico-assistenziali non appropriati". Indizi che vengono rafforzati se si considera che le percentuali più elevate di cesarei vengono registrate nelle case di cura private "convenzionate" rispetto agli ospedali pubblici e nelle strutture che assistono un basso numero di parti annui. Sulla base di queste considerazioni ci si chiede perché in Italia si faccia così frequentemente ricorso al parto cesareo. Le risposte sono molteplici, imputabili a diversi fattori.

Si comincia con la gravidanza, che nel Belpaese, rispetto al resto d'Europa viene fortemente medicalizzata fin dall'inizio della gestazione, per numero di ecografie e consultazioni mediche. A ciò si aggiunge, sovente, una scarsa consapevolezza da parte delle donne, dovuta a una diffusa a disinformazione sul valore dell'esperienza del parto naturale, spesso offuscata dalla paura del dolore. Le lacune 'culturali' delle gestanti si estendono all'idea che il cesareo sia più sicuro per la salute della mamma e del neonato rispetto al parto vaginale; una credenza da sfatare se si considera in realtà che non esiste prova alcuna che l'intervento, in assenza di situazioni cliniche che ne giustifichino l’esecuzione, sia più raccomandabile. Anzi. Un altro fattore responsabile dell'aumento di interventi è da imputarsi, in alcuni casi, alla scarsa disponibilità del medico ad assumersi la responsabilità di seguire un travaglio naturale, che può durare svariate ore, rispetto alla "tempestiva praticità" offerta dal bisturi (un cesareo si risolve in 20 minuti circa). Last but not least si incontrano motivi economici e malcostume. Il parto cesareo, infatti, fa lievitare i costi del sistema sanitario. Come si legge su Giornalettismo: "Mediamente un parto cesareo costa quasi il doppio di un parto naturale. 5.000 euro e più, contro i 2.800-3.000 euro di un parto naturale. Quindi, più parti cesarei si traduce in più costi per il nostro Servizio sanitario. Ma, allo stesso tempo, vuol dire anche più introiti per le strutture private “convenzionate”.

1 commento:

  1. basterebbe per mettere un limite, quanto meno nelle strutture private,una semplice norma: Il DRG del parto naturale uguale a quello del cesareo sempre o quantomeno per i parti cesarei percentualmente in eccesso alla percentuale prevista (15-20%).
    Chiaramente andrebbero individuate percentuali differenti tra strutture che fanno PS (normalmente le private non lo fanno) o le ostetricie che seguono istituzionalmente gravidanze ad alto rischio (dovrebbero essere poche e ben identificate con annesse rianimazione dell'adulto ed UTIN)

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