giovedì 27 gennaio 2011

Vite indegne? La Giornata della Memoria fra passato e presente

In una televisione sempre più inguardabile, che da giorni non fa altro che parlarci di sexygate e fare sfoggio di scurrilità varie, ieri sera è tornata la speranza che questo mezzo possa ancora svolgere un ruolo didattico, formativo e di riflessione. I dati auditel ci dicono che ieri sera 1,7 milioni di italiani (tanti, ma sempre pochi rispetto a quelli che hanno guardato la partita di Coppa Italia Napoli-Inter, “Paperissima” o “Chi l’ha visto?”) hanno guardato su La7 “Ausmerzen. Vite indegne di essere vissute” un’opera di Marco Paolini trasmessa in diretta dall'ospedale psichiatrico 'Paolo Pini' di Milano. L’occasione era la vigilia della Giornata della Memoria, che ricorre oggi 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”. (Legge 20 luglio 2000, n. 211).


La vicenda narrata dall’attore bellunese in un agghiacciante e nitido monologo, si consuma ufficialmente dal 1939 fino al 1941: l’operazione Aktion T4, dal nome dell’iniziale della via berlinese, la Tiergartestrasse, al civico 4, dov’era insediato l’Ente pubblico per la Salute e l’Assistenza sociale, e l’organizzazione (una specie di società a partecipazione statale) che studiò e attuò il programma nazista di eugenetica, cioè la soppressione di massa di bambini e adulti malati di mente o affetti da malattie genetiche, considerati inutili, appunto “vite indegne di essere vissute”.

Già nel 1933 – in coerenza con l’ideologia dell’”igiene razziale” – la legge “sulla prevenzione della nascita di persone affette da malattie ereditarie” diede il via alla campagna di sterilizzazione di massa di questi pazienti (non meno di 200 mila persone affette da malattie mentali). Ma dal 1939 si passò alle cosiddette “uccisioni pietose” dei bambini al di sotto dei tre anni. Le segnalazioni dei casi sospetti al Dipartimento di Sanità del Ministero degli interni dovevano essere effettuate da ostetriche e pediatri. Per tranquillizzare i genitori dei bambini si spiegava loro che i figli malati venivano spostati in speciali sezioni pediatriche dove ricevevano cure innovative. Ma una volta internati in questi centri intermedi, dopo poche settimane, venivano trasferiti in altre sedi. E in esse, lontano da occhi indiscreti, venivano uccisi tramite iniezioni letali. Nei certificati di morte tutto veniva coperto con un “decesso per polmonite” o “per arresto cardiaco”. Quasi subito il programma di eliminazione si estese anche agli adulti. Dal 1940 le camere a gas sostituirono le iniezioni. Dal 1941, chiusa Aktion T4, almeno in modo formale, i malati psichici continuarono ad essere sterminati, facendoli morire per inedia (la cosiddetta dieta E) direttamente nei manicomi, risparmiando gas e farmaci-killer. Questa strage – quasi una “prova generale” della “soluzione finale” – è sempre passata in silenzio, forse perché non aggiungeva molto ai milioni di vittime dell’Olocausto e al giudizio della storia sul nazismo e la dittatura hitleriana, o forse per darci quella sorta di “auto-assoluzione preventiva”.


“Ausmerzen” (che significa abbattere) è una cronaca storica, datata, ma che ha la capacità di interrogare le coscienze, che ha ancora a che fare con le nostre scelte quotidiane: “Che farei io al posto di quella gente?”. Questa è stata la differenza di questa piéce teatrale rispetto ad altri film o rappresentazioni ben più note, non si parlava delle sadiche SS o degli spietati gerarchi hitleriani, ma di ‘brava gente’: professionisti, medici di famiglia, infermieri, pediatri… Si tratta di un periodo di crisi economica, come quello della Germania negli anni Trenta, durante il quale veniva chiesta collaborazione di tutti – e quindi anche del personale sanitario – per risparmiare nel bilancio della sanità sulla pelle di persone considerate improduttive: perché lo Stato deve spendere per queste “vite indegne” così tanti soldi che potrebbero essere redistribuiti per la gente “normale”? Al processo di Norimberga però medici e funzionari non subirono pene esemplari. “Paradossalmente – spiega lo stesso Paolini – meglio così: quelle sentenze ci impediscono di pensarli come criminali appartenenti a un’altra galassia e ci è più facile vederli come la ‘brava gente’. Come potrei essere io, o i miei vicini di casa”.


“I periodi di crisi economicacontinua l’attore – fanno mutare i parametri e creano l’occasione perché certe idee possano trovare cittadinanza, tolleranza. Idee che dovrebbero, invece, essere messe al bando assieme a chi le propugna. È come se la crisi producesse un abbassamento d’attenzione delle coscienze.” E non bisognerebbe abbassare la guardia nei nostri giorni: in un momento di crisi e di tagli al servizio pubblico come quello attuale, le prime risorse che vengono tagliate sono di nuovo quelle dell'assistenza ai più indifesi. Per esempio, si è arrivati a mettere in discussione un modello d’inserimento che è uno dei fiori all’occhiello del sistema scolastico italiano riesumando l’idea delle classi differenziali; un assessore regionale alla Sanità ha proposto che i trapianti d’organi siano inibiti a chi non supera un certo quoziente intellettivo; appena l’anno scorso si voleva chiedere ai medici la schedatura dei pazienti stranieri irregolari… i presupposti vi sembrano molto diversi?


Insomma, ieri erano i disabili, i malati di mente, gli ebrei, gli slavi e i polacchi, i rom, i dissidenti tedeschi, i comunisti, gli omosessuali, i testimoni di Geova e i pentecostali. Ancora oggi alcune di queste classi continuano ad essere bistrattate, forse con altri epiteti meno scomodi (“irregolari”, per esempio) e con altre metodologie apparentemente più lecite (i “respingimenti”, per esempio), e a queste probabilmente se ne aggiungono altre nuove.


Ma siamo davvero certi che non ci saremmo comportati (e che non ci comportiamo) come quei medici e come quegli infermieri?


Gianluca Tornese

Clinica Pediatrica

IRCCS Burlo Garofolo - Trieste

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